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Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Cina: trattamento fiscale dei redditi da attività di consulente e di lavoratore dipendente presso una società cinese



16 luglio 2023 – Ora: 19:45

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Un cittadino italiano, iscritto all’Aire, risiede in Cina, dove lavora come dipendente presso una società del posto. Informa di aver ricevuto una proposta di lavoro quale consulente di una società con sede in un Paese membro della Ue. La sua volontà è quella di aprire una partita Iva in Italia con sede nell’immobile di sua proprietà, per lo svolgimento dell’attività di consulente per non più di 60 giorni l’anno non consecutivi. 

Chiede se è possibile aprire una partita Iva in Italia e operare come ditta con sede in Italia, pur mantenendo residenza e centro principale dei suoi affari in Cina. Domanda, inoltre, se dovrà essere soggetto a tassazione in Italia solo il reddito qui prodotto con la partita Iva o anche il reddito da lavoro dipendente svolto in Cina. 

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 387/2023, risponde che in merito al primo quesito l’art. 35 del decreto Iva prevede che i soggetti che istituiscono nel territorio dello Stato una stabile organizzazione sono tenuti a farne comunicazione entro 30 giorni all’Agenzia delle Entrate che attribuisce all’interessato il numero di partita Iva. Tale attribuzione effettuata ad un soggetto non residente non incide sulla sua residenza ai fini fiscali, per il cui radicamento in Italia, infatti, occorre che venga integrato, per la maggior parte del periodo d’imposta almeno uno dei seguenti presupposti: iscrizione all’anagrafe della popolazione residente e residenza o domicilio nel nostro Paese. 

Ai sensi dell’art. 17 del decreto Iva, qualora il contribuente intendesse aprire una partita Iva in assenza di stabile organizzazione, questi sarebbe tenuto a identificarsi in Italia attraverso un rappresentante fiscale. L’apertura della partita Iva non avrebbe conseguenze sulla residenza ai fini fiscali dell’interessato. 

Nel secondo quesito si chiedono chiarimenti in merito al trattamento fiscale riservato alla propria attività lavorativa, comprensiva del lavoro dipendente svolto in Cina per una società cinese e del rapporto di collaborazione che l’istante intende instaurare con una società europea, in veste di consulente dall’Italia. La normativa nazionale prevede che per i soggetti non residenti si considerano prodotti nel Bel Paese i redditi fondiari come pure i redditi di lavoro dipendente prestato in Italia e i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato italiano. La normativa interna va però coordinata con le disposizioni internazionali contenute in accordi conclusi dall’Italia con i Paesi esteri. 

L’ordinamento italiano riconosce il principio della prevalenza del diritto convenzionale su quello interno e, in ambito tributario, ciò è sancito dall’art. 169 del Tuir e dall’art. 75 del decreto Iva. 

Nel caso in esame si fa riferimento alle disposizioni contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Cina il 31 ottobre 1986 e ratificata il 31 ottobre 1989.

In base all’art. 14 del Trattato i compensi del professionista intellettuale (consulente o libero professionista) possono essere tassati unicamente nello Stato di residenza, salvo due ipotesi: la prima, ‘quando egli dispone abitualmente di una base fissa nell’altro Stato contraente per l’esercizio delle proprie attività’ (in questo caso i redditi sono imponibili in detto altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa); la seconda, ‘se egli soggiorna nell’altro Stato contraente per un periodo o periodi che oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno solare considerato’ (in tal caso, i redditi sono imponibili in detto altro Stato contraente ma unicamente nella misura in cui derivino dalle proprie attività svolte in detto altro Stato). 

In merito alla prima deroga, sebbene le Convenzioni per evitare le doppie imposizioni stipulate dal nostro Paese facciano riferimento, per le professioni indipendenti, all’espressione ‘base fissa’, non ne delimitano precisamente i contorni. L’art. 5 del Modello Ocse assimila il concetto di ‘base fissa’ al concetto di ‘stabile organizzazione’, ossia una sede fissa di affari in cui il professionista esercita la sua attività indipendente. 

Sulla seconda deroga alla luce della dichiarazione dell’istante che non utilizzerà l’immobile per oltre 60 giorni nel corso dell’anno, l’Agenzia delle Entrate ritiene che l’attività di consulente del contribuente sia assoggettabile a imposizione esclusivamente in Cina, ai sensi dell’art. 14 del Trattato, purché non sia configurabile una base fissa in Italia e purché l’Istante non soggiorni nel Bel Paese per oltre 183 giorni. 

L’art. 15 della Convenzione prevede che i redditi di lavoro dipendente prestato esclusivamente in Cina dall’istante sono qui tassati (e solo in Cina), ovvero dove l’istante risiede. Invece, i redditi che il contribuente riscuote da immobili situati in Italia sono tassabili sia in Italia che in Cina e l’eventuale doppia imposizione deve essere risolta dal Paese di residenza come stabilisce l’art. 23 della Convenzione.