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Lo shampometro mette in allarme barbieri e parrucchieri



Dopo il tovagliometro che calcola il reddito dei ristoratori in base al numero di tovaglioli utilizzati, il lenzuolometro della Cassazione che ha ritenuto legittimo l’accertamento induttivo a carico dell’affittacamere, basato sull’acquisto di lenzuola, coperte ed asciugamani arriva lo shampometro. A sdoganarlo è stata la Commissione tributaria regionale del Lazio con la sentenza n. 2684/7/2020 dello scorso 23 settembre . Dunque i giudici tributari d’appello hanno stabilito che in base all’utilizzo dello shampoo nelle parrucchierie si può risalire al numero dei clienti e quindi al reddito imponibile. Sembra uno scherzo ma non lo è. La caccia agli evasori passa pure attraverso il conteggio degli shampoo fatti nei saloni.

Nel caso analizzato, conclusosi con una pronuncia a favore dell’Agenzia delle Entrate, ad una Srl era arrivato un avviso di accertamento per l’anno 2014 relativamente ad Ires, Irap ed Iva. Il titolare della società svolgeva attività di barbiere, parrucchiere e centro estetico. In base ai nuovi conteggi l’ufficio delle Entrate di Roma era arrivato a chiedere ben 78 mila euro, compresi sanzioni ed interessi, avendo ricostruito i ricavi della società considerando le materie prime acquistate dalla stessa.

Il contribuente presentava ricorso presso la Commissione tributaria provinciale invocando l’errata misurazione dell’imponibile in quanto l’Ufficio non avrebbe tenuto conto dello shampoo utilizzato in autoconsumo, di quello rimasto in magazzino e del sapone neutro utilizzato nei bagni. Secondo la Srl questi dati uniti al monte ore complessivamente sostenute risultanti dal libro unico del consulente del lavoro, sarebbero bastate a giustificare il reddito dichiarato. I giudici tributari di primo grado hanno tuttavia dato torto al parrucchiere sostenendo la fondatezza dell’accertamento basato sui consumi di materie prime. La controversia finiva presso la Ctr del Lazio dove il gravame del contribuente veniva rigettato. L’accertamento analitico-induttivo era giustificato dall’anomalia dell’esercizio imprenditoriale caratterizzato da scarsi redditi e utili, a fronte di rilevanti ricavi.

La sentenza della commissione tributaria d’appello riconosce implicitamente il metodo di calcolo effettuato, basato sulla valutazione degli acquisti di materie prime di uso tipico dell’attività di parrucchiere come lo shampoo. Inoltre le tesi sostenute dalla difesa non hanno fatto perno su elementi sostanziali quanto su circostanza secondarie, quali l’autoconsumo dello shampoo o l’utilizzo di sapone neutro per l’igiene delle mani o ancora il numero delle ore lavorate nell’esercizio. È dunque corretto il ricalcolo dei ricavi effettuato dall’Amministrazione finanziaria in base ai materiali consumati nell’attività se la quantità degli stessi non è coerente con gli utili dichiarati al fisco.

Questo verdetto non costituisce una novità perché una serie di pronunce della Cassazione ha legittimato da tempo l’utilizzo dell’accertamento analitico-induttivo, mediante l’impiego, come modalità di calcolo, del consumo delle materie prime dell’attività. Abbiamo già anticipato del tovagliometro (sentenza della Corte di cassazione n. 20060/2014) e del lenzuolometro (Corte di cassazione n. 30402/2011), ma possiamo aggiungere il bottigliometro (Corte di cassazione n. 17408/2010) che legittima la ripresa a tassazione in base al consumo di acqua minerale nei ristoranti e il farinometro (Corte di cassazione n. 15580/2011) che in base al consumo di farina, mediante accertamento induttivo, ricalcola il reddito della pizzeria.

Si evidenzia, infine, che la trattazione dell’udienza si è svolta in camera di consiglio con collegamento ‘da remoto’ in quanto, pur essendo state interpellate via Pec, le parti non hanno presentato richiesta di trattazione con modalità diversa. In forza di quanto dispone il decreto legge ‘Cura Italia’, convertito nella legge n. 27/2020, in via emergenziale al processo tributario è applicabile la modalità della ‘trattazione scritta’. Per il collegio tributario laziale il rito camerale non partecipato garantisce ugualmente il contraddittorio tra le parti, con la facoltà per le stesse di presentare memorie scritte ed eventuali repliche, fino a 5 giorni prima della data della camera di consiglio. I giudici d’appello concludono che il principio di pubblicità dell’udienza, tutelato dalla Costituzione, può essere derogato in presenza di ‘particolari ragioni giustificative’ tra le quali trovano posto quelle, parimenti tutelate dalla Consulta, di speditezza e concentrazione, in funzione della ragionevole durata del processo, anche nella situazione di emergenza sanitaria come quella in corso.

Ugo Cacaci

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