Non imponibile in Italia il compenso di amministratore riversato alla società consociata Ue
25 maggio 2023 – Ore 15.50
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Una società chiede di conoscere il corretto trattamento fiscale del compenso di amministratore, da riversare alla società consociata Ue, sia in merito alla deducibilità del costo, sia in relazione all’eventuale ritenuta da operare all’atto del pagamento del compenso. L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 330/2023, chiarisce che sono deducibili i compensi reversibili di amministrazione corrisposti da una società italiana alla consociata estera. Inoltre, non sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta.
Il quesito analizzato dall’Amministrazione finanziaria riguardava, come anticipato, il corretto trattamento fiscale del compenso di consigliere di amministrazione di un dipendente di una consociata estera del gruppo. Compenso che, come da accordi, andava riversato alla società consociata Ue.
La circolare del Ministero delle Finanze 23 dicembre 1997 n. 326 esclude dal novero dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, insieme ai compensi che per legge vanno riversati allo Stato, quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro. Tale esclusione, tuttavia, non comporta la loro qualifica come redditi di lavoro dipendente.
Sempre la circolare citata chiarisce che i compensi reversibili non solo non costituiscono reddito assimilato a quello dipendente, ma non devono essere assoggettati a tassazione neanche quali redditi di lavoro dipendente, in quanto sono imputati direttamente al soggetto al quale, per la clausola contrattuale, devono essere riversati.
Inoltre, la nota n. 8/166 del 17 maggio 1977 del Ministero delle Finanze stabilisce che non concorrono alla determinazione del reddito complessivo soggetto all’Irpef i compensi reversibili percepiti dai collaboratori coordinati e continuativi tra i quali rientrano i consiglieri di amministrazione.
Alla luce di ciò, i compensi corrisposti in relazione all’incarico di consigliere di amministrazione non assumono rilevanza ai fini della determinazione del reddito del soggetto interessato. Lo stesso non ha alcuna disponibilità delle somme erogate in ragione dell’incarico direttivo svolto. Dalla documentazione emerge, infatti, che il compenso del dipendente verrà direttamente ed integralmente corrisposto alla consociata Ue.
La società istante deve considerare deducibile l’importo pagato alla consociata Ue per l’attività di direzione svolta dal soggetto incaricato. Il pagamento in parola va inquadrato come reddito d’impresa, considerato che il pagamento, pur riferibile al lavoro prestato dal consigliere di amministrazione, è effettuato direttamente tra le due società consociate senza alcun riversamento da parte del dipendente a favore del proprio datore di lavoro.
Ciò comporta che i compensi erogati dall’istante alla società Ue sono qualificabili come reddito d’impresa in capo a quest’ultima e tassabili solo nel suo Stato di residenza. Gli stessi sono considerati costi deducibili in capo alla società istante.
Pertanto, non trova applicazione l’articolo 16 della Convenzione tra l’Italia e il Paese Ue per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, che prevede una potestà impositiva concorrente per le retribuzioni che un residente di uno Stato contraente riceve come membro del consiglio di amministrazione di una società residente nell’altro Stato contraente. Nel caso sottoposto si è già chiarito che il pagamento è effettuato direttamente alla consociata e non al dipendente.
In considerazione di quanto espresso, la non imponibilità dei compensi nel territorio dello Stato conferma che in capo alla società istante non sussiste l’obbligo di effettuare la ritenuta a titolo d’imposta, all’atto del pagamento dell’importo.