Il punto Fiscale

La lente sui principali temi del Fisco

Regime speciale ‘impatriati’: decisiva la discontinuità lavorativa



30 marzo 2022 – 15: 40
tempo di lettura: 03′ 45″

Per accedere al regime speciale degli impatriati non sono sufficienti la promozione professionale ottenuta al rientro in Italia e il conseguente aumento dello stipendio, se la posizione lavorativa è ‘in continuità’ con la precedente e non cambiano le condizioni contrattuali.

A chiarirlo è, in sintesi, l’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 159 del 28 marzo 2022 ad un interpello formulato da una società italiana che, in qualità di sostituto d’imposta, chiede di sapere se un suo dipendente possa fruire, dal 1°gennaio 2021 e per i quattro anni successivi, del regime fiscale di favore previsto dall’articolo 16, comma 2, del decreto legislativo n. 147/2015.

La società istante precisa che il dipendente è un cittadino italiano, coniugato, laureato in Economia. Lo stesso, dal 2012 al 2017, è stato dipendente, in qualità di manager (impiegato di 7° livello), presso una società del Gruppo ma dal 1°gennaio 2018 è passato ad un’altra società facente parte sempre del Gruppo e distaccato presso una consociata francese, con sede di lavoro a Parigi.

Nel periodo di distacco il Gruppo societario ha subìto una radicale riorganizzazione dal punto di vista societario ed organizzativo. Dal 1°gennaio 2021 il dipendente è rientrato in Italia, presso la società istante, con un nuovo inquadramento. Grazie infatti all’esperienza maturata all’estero il Gruppo ha assegnato il ruolo di Quadro al dipendente rientrato per avvalersi delle competenze acquisite.

La società informa che il dipendente non ha rispettato il requisito della residenza essendosi iscritto all’Aire solo il 15 maggio 2018, come risulta anche dalla dichiarazione dei redditi presentate in Italia predisposte dal dipendente in relazione agli anni d’imposta 2018, 2019 e 2020. In data 28 dicembre 2020 il lavoratore ha provveduto ad iscriversi all’Anagrafe della popolazione residente presso il Comune di Vicenza.

Il regime speciale per gli impatriati si applica ai lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato italiano a patto che negli ultimi due anni antecedenti al rientro in Patria non siano stati residenti in Italia. I lavoratori devono impegnarsi, tuttavia, a rimanere nel Bel Paese per almeno due anni, pena la decadenza dall’agevolazione.

Possono avvalersi del beneficio in discorso anche i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra-Ue con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale.

I lavoratori impatriati, per accedere al regime agevolativo, devono essere in possesso di un titolo di laurea e di un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa svolta continuamente all’estero negli ultimi 24 mesi. Analogo periodo è previsto per conseguire un titolo di laurea o una specializzazione post-laurea.

Al ricorrere delle condizioni appena descritte i redditi di lavoro dipendente, di lavoro autonomo e i redditi d’impresa dei soggetti interessati concorrono alla formazione dell’imponibile nella misura del 30%. Il regime agevolativo ha una durata quinquennale, a decorrere dal periodo d’imposta in cui i contribuenti trasferiscono la residenza fiscale in Italia e per i quattro successivi. La disciplina non si applica al lavoratore distaccato all’estero che rientra in Italia. Come ha chiarito la circolare n. 17/E del 23 maggio 2017 chi rientra in Italia dopo essere stato distaccato all’estero non può fruire del beneficio in considerazione della situazione di continuità con la precedente posizione lavorativa svolta in Italia.

La stretta è giustificata dal fatto di evitare un uso strumentale dell’agevolazione in esame, anche se la ratio della norma non preclude la possibilità al lavoratore distaccato di accedere al beneficio per gli impatriati in specifiche ipotesi. Ciò accade, ad esempio, se il distacco è più volte prorogato e il dipendente, di fatto, si sia radicato nel territorio estero oppure quando il rientro in Italia non si pone ‘in continuità’ con la precedente posizione lavorativa effettuata in patria; in tal caso, al rientro, il lavoratore assume un ruolo diverso da quello originario, in virtù delle maggiori esperienze maturate all’estero.

La circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020 ha precisato che il beneficio fiscale in argomento non spetta nell’ipotesi di distacco all’estero con successivo rientro, in presenza del medesimo contratto presso lo stesso datore di lavoro.

Se, invece, l’attività lavorativa dell’impatriato è nuova, in virtù della sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro, diverso da quello in essere in Italia prima del distacco, lo stesso può accedere all’agevolazione a partire dal periodo d’imposta in cui ha trasferito la residenza fiscale in Italia.

Sempre la circolare n. 33/E/2020 chiarisce che l’agevolazione non è applicabile qualora il lavoratore, pur in presenza di un nuovo contratto per un nuovo ruolo aziendale, al momento dell’impatrio svolga una mansione in continuità con la precedente posizione lavorativa svolta prima dell’espatrio. Questo accade, a titolo di esempio, con il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo accordo aziendale o in caso di riconoscimento dell’anzianità dalla data di prima assunzione. Costituiscono indice di continuità aziendale anche l’assenza del periodo di prova e l’esistenza di clausole nelle quali si prevede che al lavoratore impatriato torneranno ad applicarsi termini e condizioni di lavoro precedenti al distacco.

In merito al caso sottoposto dalla società istante, l’Agenzia delle Entrate ritiene che non essendoci la discontinuità lavorativa richiesta dalla legge l’accesso al regime fiscale agevolativo deve considerarsi precluso. Questo, nonostante il nuovo ruolo del dipendente, conferito anche in ragione delle maggiori competenze acquisite all’estero e della revisione della retribuzione. La circostanza che continuino ad applicarsi le originarie condizioni contrattuali in essere prima dell’espatrio, porta a considerare che la posizione del lavoratore sia ‘in continuità’ con la precedente ricoperta.

Ugo Cacaci

30