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Si avvicina l’intesa sulla minimum global tax – Usa contrario alla digital tax



23 maggio 2021 – ore 19:40
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Dopo un primo passo incoraggiante al G20 di aprile, a Roma, la proposta del Tesoro americano della minimum global tax al 15% ha ricevuto il sostegno dei ministri delle Finanze europei di Francia, Germania e Italia riuniti, finalmente in presenza, a Lisbona.

Dunque, cresce la possibilità che al summit di Venezia di luglio possa arrivare l’intesa sulla tassazione minima delle imprese a livello internazionale che impedisca alle multinazionali di sfruttare i paradisi fiscali.

La mossa del governo americano che ad aprile aveva parlato di una aliquota minima al 21% ed ora si dice disposto ad accettare l’aliquota del 15% dovrebbe facilitare l’intesa anche se nulla è facile perché la proposta della segretaria al Tesoro Janet Yellen ha suscitato le irritazioni di quei paesi, Irlanda in testa, che hanno fatto della tassazione uno strumento di competitività. Il Paese del trifoglio e dell’arpa celtica ha un’aliquota minima del 12,5% e, naturalmente, si oppone ad aliquote minime delle imprese. Va pure detto che molte società beneficiarie del suo allettante regime fiscale sono proprio americane e, se con l’amministrazione Trump, Dublino poteva contare sull’appoggio seppur indiretto degli Stati Uniti, oggi le cose sono cambiate.

C’è da dire che a livello Ocse le trattative verso una maggiore armonizzazione fiscale vanno avanti da quattro anni e le sempre più insistenti pressioni di Bruxelles in questa direzione, dovrebbero convincere i Paesi con i regimi fiscali più generosi ad aprire ad una intesa o, almeno, ad un ‘accordo di principio’ come ha detto il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni.

Strappare un compromesso è tuttavia arduo perché il tema fiscale in alcuni Paesi come l’Irlanda è esistenziale, ha detto un funzionario Ue. Se, dunque, a luglio dovesse arrivare un accordo politico, molto probabilmente sarà generico, con i dettagli tutti da negoziare.

Se l’operazione politica sembra dunque vicina al traguardo bisognerà vedere quale sarà l’impatto di una Corporate income tax (Cit) unificata in 139 giurisdizioni globali e quali principi internazionali di calcolo si applicheranno. Il sistema illustrato al G20 di Roma è ingegnoso perché prevede una tassazione divisa in due parti: la multinazionale a stelle e strisce, ad esempio, che ha controllate sparse nel mondo pagherà l’aliquota bassa nel paese in cui ha localizzato i suoi stabilimenti, ma dovrà versare la differenza in America. È un sistema che elimina il problema della delocalizzazione per motivi fiscali.

Il Tax Justice Network ha analizzato le dimensioni del c.d. profit shifting cioè la delocalizzazione in paradisi fiscali per minimizzare il peso delle tasse. Solo nel 2020 le multinazionali hanno spostato circa 1.380 miliardi di dollari nei paradisi fiscali causando ai governi una perdita di gettito di 245 miliardi. Il 32% di questa perdita, ha evidenziato l’economista Marcello Minenna, fa capo ai governi europei per un controvalore di 80 miliardi di dollari, al secondo posto ci sono gli Stati Uniti con una perdita annua di 53 miliardi di dollari, pari al 21% del totale.

Inoltre, insieme alla global minimum tax c’è in gioco l’introduzione di una tassa sulle multinazionali del web tra le quali Amazon, Google, Microsoft e Facebook. In Europa già diversi Stati l’hanno approvata in attesa di una digital service tax in ambito Ocse. La web tax nostrana prevede un’imposta del 3% sulle transazioni digitali ‘B2B’. Il primo versamento dell’imposta sui servizi digitali è scaduto lo scorso 16 maggio e ha interessato gli esercenti attività d’impresa, anche non residenti, che nel corso dell’anno in cui sorge il presupposto impositivo hanno realizzato nel mondo, singolarmente o a livello di gruppo, ricavi non inferiori a 750 milioni di euro, di cui almeno 5.500.000 nel territorio dello Stato.

Gli Stati Uniti sono fermamente contrari alla digital tax in quanto colpendo il fatturato e non gli utili d’impresa rinnegherebbe oltre 3 mila trattati bilaterali attivi in 5 continenti. Secondo il presidente americano Joe Biden il recupero fiscale delle big tech dovrà avvenire solo nell’ambito di una revisione complessiva e unitaria delle regole sulle multinazionali.

Ugo Cacaci

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