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Trattamento fiscale delle somme erogate alle lavoratrici madri in forma di ‘welfare aziendale’



L’importo erogato, sotto forma di welfare aziendale, alle lavoratrici madri, per tre mesi, al termine del periodo di astensione obbligatoria per maternità facoltativa o congedo parentale, assume rilevanza reddituale ai sensi dell’art. 51, comma 1, del Tuir, in quanto, risponde a finalità retributive. 

01 marzo 2024 – Ore 17:15

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Una società è intenzionata ad erogare in forma di welfare aziendale a tutte le lavoratrici madri una somma equivalente alla differenza tra l’indennità di congedo di maternità facoltativa o di congedo parentale a carico dell’Inps, e il 100% della retribuzione mensile lorda. Tale somma verrebbe erogata per i tre mesi successivi al periodo di astensione obbligatoria per maternità.

La società informa di essere dotata di un piano di welfare aziendale e chiede se quanto anticipato soddisfi i presupposti di non imponibilità di cui al secondo e terzo comma dell’art. 51 del Tuir. 

Con l’articolo in parola il legislatore ha sancito il principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, in virtù del quale tutte le somme percepite dal lavoratore, a qualunque titolo, in relazione al rapporto di lavoro, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente. 

Sempre l’art. 51 disciplina le deroghe ovvero i casi di opere, servizi, prestazioni e rimborsi spesa che non concorrono a formare la base imponibile. 

La non concorrenza al reddito di lavoro dipendente deve essere tuttavia coordinata col principio di onnicomprensività che, riconducendo nel perimetro di tale categoria reddituale tutto ciò che il dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro, riconosce l’applicazione residuale delle predette deroghe, anche in ragione della circostanza che i benefit ivi previsti non sempre assumono una connotazione strettamente reddituale. 

Pertanto, qualora tali benefit rispondano a finalità retributive, il regime di esenzione non può trovare applicazione. 

L’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 55/E/2020, ha ribadito che i benefit devono essere messi a disposizione della generalità di dipendenti. Sul punto il Fisco ha precisato che il legislatore non riconosce l’applicazione dei benefit ogni qual volta gli stessi costituiscano vantaggi solo per alcuni lavoratori. Inoltre, sempre la risoluzione 55/E ha precisato che nell’ipotesi in cui il piano di welfare fosse alimentato anche da somme costituenti retribuzione fissa o variabile degli aderenti ovvero la parte di importo riconosciuto ai dipendenti sotto forma di welfare non utilizzato si convertisse in denaro, rimarrebbe impregiudicata la rilevanza reddituale dei ‘valori’ corrispondenti ai servizi offerti agli stessi in base alle ordinarie regole dettate per la determinazione del reddito di lavoro dipendente. 

Nel caso esaminato, caratterizzato dal riconoscimento di un importo, sotto forma di welfare, corrispondente alla differenza tra il 100% della retribuzione lorda e l’indennità di maternità o congedo parentale, per un trimestre, la somma che alimenta il credito welfare individuale sarebbe costituita dalla differenza tra quanto erogato dall’Inps e la retribuzione fissa spettante alla dipendente qualora rientrasse in servizio. 

L’Agenzia ritiene che le somme in oggetto debbano assumere rilevanza reddituale ai sensi dell’art. 51, comma 1, del Tuir, in quanto, rappresentando una erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile, rispondono a finalità retributive.