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Va tassato sia in Italia che all’estero il reddito prodotto in smart working



01 ottobre 2021 – Ore 20:15
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Una cittadina italiana iscritta all’Aire ha chiesto chiarimenti in merito al regime fiscale applicabile al reddito di lavoro dipendente percepito nell’anno d’imposta 2020.

La stessa dichiarava che, a causa della pandemia, aveva svolto la propria attività lavorativa in Italia, in modalità smart working, da marzo 2020, e che era fiscalmente residente in Lussemburgo.

L’Amministrazione finanziaria ha precisato che il reddito prodotto nel nostro Paese da un residente nel Lussemburgo deve essere tassato sia in Italia che all’estero. La conseguente doppia imposizione sarà risolta attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta da parte del Lussemburgo, Stato di residenza della lavoratrice.

Secondo il soggetto istante il reddito prodotto nell’anno 2020 va tassato in Lussemburgo, non avendo rilievo il luogo nel quale la prestazione lavorativa è stata svolta. Sostiene, pertanto, che il reddito conseguito in Italia, a causa di forza maggiore, non debba essere assoggettato nel Bel Paese.

L’articolo 23, comma 1, lettera c) del Tuir stabilisce che si considerano prodotti in Italia ‘i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato’. Tale disposizione non si applica nei casi in cui l’Italia ha stipulato con il Paese di residenza del lavoratore, una convenzione per evitare le doppie imposizioni che riconosce a quest’ultimo Stato la potestà impositiva esclusiva sul reddito di lavoro dipendente prestato in Italia.

In merito al caso specifico l’articolo 15 della Convenzione per evitare le doppie imposizioni tra l’Italia e il Granducato di Lussemburgo prevede, al paragrafo 1, che ‘i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato’.

La Convenzione prevede dunque la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del beneficiario, a meno che l’attività lavorativa sia svolta nell’altro Stato contraente. In questa ipotesi gli emolumenti sono assoggettati ad imposizione in entrambi i Paesi.

Sempre l’articolo 15, paragrafo 2, prevede la tassazione esclusiva nel Paese di residenza anche per i redditi erogati come corrispettivo di un’attività di lavoro subordinato svolta nell’altro Stato a patto che ricorrano congiuntamente tre condizioni:

  • il beneficiario soggiorni nell’altro Stato per un periodo che non supera in totale 183 giorni nel corso dell’anno fiscale;
  • le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato;
  • l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.

Nel caso sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate il soggetto istante ha sostenuto di aver prestato la propria attività lavorativa in smart working. Al fine di precisare il significato di ‘luogo di prestazione’ dell’attività lavorativa, occorre individuare lo Stato in cui la prestazione si è effettivamente svolta, ossia il luogo in cui il lavoratore dipendente è stato fisicamente presente quando ha esercitato le attività per le quali viene remunerato.

Inoltre, il reddito percepito dal lavoratore dipendente non può essere assoggettato a imposizione nell’altro Stato contraente, anche se i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati in detto Stato.

Pertanto, l’Amministrazione finanziaria ritiene che il reddito percepito per l’attività di lavoro dipendente svolta in Italia nel 2020 dall’istante rilevi fiscalmente anche in Italia nonostante sia residente in Lussemburgo.

Nel caso specifico non trova applicazione il disposto del paragrafo 2 del citato articolo 15 non sussistendo il requisito di cui alla lettera a), in quanto l’istante ha dichiarato di aver soggiornato in Italia per più di 183 giorni nel periodo di riferimento.

La conseguente doppia imposizione sarà risolta attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta da parte del Lussemburgo, Stato di residenza della lavoratrice.

Ugo Cacaci