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Web tax: slitta al 16 marzo il primo versamento. Al 30 aprile il termine per l’invio della dichiarazione annuale



Il decreto legge n. 3/2021 ha prorogato al 16 marzo 2021 il termine per il primo versamento dell’imposta sui servizi digitali. Dunque, le società coinvolte, in realtà pochissime in Italia, avranno un mese in più a disposizione rispetto alla scadenza del 16 febbraio prevista dalla legge di bilancio dello scorso anno. Per la prima dichiarazione, relativa al 2020, da inviare all’Agenzia delle Entrate, ci sarà tempo fino al prossimo 30 aprile, anziché il 31 marzo. Il decreto fa slittare così, anche se solo per un mese, la web tax, introdotta nel nostro Paese dalla legge n. 145/2018, ma oggetto di ripetuti rilanci e frenate.

A convincere l’Esecutivo verso questo mini-rinvio, probabilmente, ha influito la necessità di avere il tempo per elaborare le oltre 40 proposte di attuazione inviate all’Agenzia delle Entrate da professionisti, associazioni di categoria ed operatori del settore dopo la messa in consultazione, da metà dicembre, dello schema per raccogliere proposte e osservazioni sull’imposta digitale ‘made in Italy’. Consultazione che si è conclusa la fine dell’anno.

Il fisco ha tenuto conto dei suggerimenti pervenuti. Infatti, con il provvedimento del 15 gennaio 2021 firmato dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, sono state definite le modalità applicative dell’imposta sui servizi digitali che prevede un’aliquota del 3% sui ricavi imponibili percepiti nell’anno solare al lordo dei costi sostenuti per la fornitura dei servizi digitali e al netto dell’Iva e di altre imposte indirette. Il provvedimento dispone le modalità di determinazione della base imponibile e dell’imposta, i criteri di collegamento con il territorio dello Stato, il versamento dell’imposta, gli adempimenti dichiarativi, gli obblighi strumentali e contabili.

La digital tax all’italiana, in vigore dal 1°gennaio 2020, ha caratteristiche simili a quelle di altri Paesi. Si applica alla fornitura di servizi digitali e prevede un tributo del 3% sui ricavi ( digitali ) realizzati da imprese con oltre 750 milioni di euro di fatturato globale e, contemporaneamente, almeno 5,5 milioni di euro di ricavi realizzati in Italia, con esclusione di molti settori strategici come l’energia e la finanza. Il totale dei ricavi imponibili è determinato dal prodotto del totale dei ricavi ovunque realizzati da ciascun soggetto passivo dell’imposta per la percentuale rappresentativa della parte di tali servizi collegata al territorio dello Stato. Affinché un corrispettivo sia imponibile in Italia, è necessario che l’utente del servizio digitale sia localizzato nel territorio dello Stato, anche se ci sono molte varianti che il provvedimento elenca e descrive. Per determinare la localizzazione si può far ricorso all’indirizzo IP del dispositivo come pure agli strumenti che consentono la geolocalizzazione dei soggetti passivi d’imposta.

La web tax mette nel mirino le Big Tech statunitensi; il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America (Ustr) ha evidenziato che l’imposta sui servizi digitali italiana colpirà 43 società di cui 27 statunitensi, 3 italiane e le restanti 13 di altri Paesi. Per questo motivo Robert Lighthizer l’ha qualificata come discriminatoria e suscettibile di innescare rappresaglie commerciali. L’amministrazione federale a stelle e strisce, da tempo, si sta operando contro le digital tax adottate da vari Paesi in Europa e in Asia, minacciando l’imposizione di dazi doganali alle merci importate dagli Stati che, in attesa di una web tax in sede Ocse, hanno definito una propria imposta sui servizi digitali.
Per quest’anno il Governo italiano conta di incassare 780 milioni di euro dalla web tax.

Ugo Cacaci

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